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Peccato Manifesto

Artikel Canoniekrecht - gepubliceerd: donderdag, 21 april 2016 - 2152 woorden
Peccato Manifesto

“Peccato manifesto” è una situazione di peccato pubblico che rende nel foro esterno il peccatore“indegno”; è un peccato “ma­te­ri­aliter”grave, inteso oggettiva­mente ed allora intrinsece male. Il peccato è manifesto solo quando consta con certezza. Per fedeli in stato di peccato manifesto valgono alcune proibizioni: non siano ammessi ai sacra­menti, proibizione derivata dalla legge divina (cf. PONT. CONS. PER I TESTI LEGISLATIVI, Dichiarazione 2000, n. 1), non hanno diritto alle esequie ecclesiastiche e non possono svol­gere (alcuni) uffici ecclesiastici.

Canoni 915 e 1007

I canoni 915 e 1007 del codice Latino stabiliscono un divieto di ammettere ai sacra­menti fedeli che ostinata­mente perseverano in peccato grave manifesto. Il canone 915 espressa­mente mensiona gli scomunicati e gli interdetti dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena. Il canone 1184 §1 n. 3 dello stesso codice inoltre prescrive la privazione dalle esequie ecclesiastiche di peccatori manifesti ai quali non è possibile conce­dere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli. Di peccatori manifesti il codice pio-benedettino parla nel c. 1240 §1 n. 6 (“Peccatores publici et manifesti”), che prescrive per loro la privazione della sepultura ecclesiastica se prima della morte non die­dero alcuni segni di penti­mento. Per gli altri sacra­menti - con eccezione del matrimonio, dato il suo carattere particolare (c. 1055 §2; cf. c. 1071 §1, nn. 4-5) - i canoni stipolano lapidar­mente le stesse condizioni: il confermando sia “ben dis­posto”(c. 849 §2; cf. c. 843 §1), il battezzando adulto sia “provato nella vita cristiana” (c. 865 §1), il peni­tente “deve essere dis­posto in modo tale che, ripudiando i peccati che ha commesso e avendo il proposito di emendarsi, si converta a Dio” (c. 987), gli ordinandi siano “di integri costumi e di provate virtù (c. 1029, cf. c. 1025 §1). Il ministro responsabile non ammetterà ai sacra­menti chi è tenuto da un uno stato di peccato manifesto, con eccezione del matrimonio.

uffici ecclesiastici

Per vari incarichi ed uffici ecclesiastici è richiesto esplicita­mente una coerenza tra scelta di vita e fede che si professa. Così il Vescovo può approvare all’incarico di uditore del tribunale dio­ce­sano persone “che rifulgano per buoni costumi”(c. 1428 §2) e nomina il promotore di giustizia ed il difensore del vincolo che siano “di in­te­gra fama”(c. 1435); procuratore ed avvocato devono essere di buona fama (c. 1483); l’Ordinario del luogo nomina o approva gli insegnanti di religione che siano “eccellenti... per testimonianza di vita cristiana” (c. 804 §2 CIC); motivi di costumi possono richie­dere che siano rimossi (c. 805); i cate­chisti siano “eminenti per vita cristiana” (c. 785 §1); i membri del consiglio dio­ce­sano per gli affari economici siano “eminenti per integrità” (c. 492 §1) e l’economo sia “distinto per onestà”(c. 494 §1), il cancelliere e i notai siano di “in­te­gra reputazione e al di sopra di ogni sospetto”(c. 483 §2). Persone in stato di peccato manifesto allora non potrebbero essere ammessi a questi incarichi ed uffici.

Sant'Agostino

Di questa pratica Ecclesiale, fondata sulla Sacra Scrittura (cf. 1 Cor. 11, 27-29; DzH. 1646-1647. 1661) danno testimonianza sia i padri sia i do­cu­menti della Chiesa. Secondo S. Agostino le autorità ecclesiastiche allontanavono fedeli dal banchetto euca­ristico a causa del carattere manifesto del loro grave peccato (HUFTIER, p. 393).

Manifestum

Le parole “manifesto”, “manifeste” nel Codice Latino sono tradotte in Italiano “palese­mente” (cf. cc. 1645 §§1 e 2, 1654 §2), “aperte­mente” (c. 831 §1 CIC) o “manifesta­mente”(cc. 41, 749 §3 ), in Spagnolo: “clara­mente” (c. 41), “ manifiesto” (cc. 749 §3, 831 §1, 915, 1007, 1184 §1 n. 3, 1645 §2) o “manifiesta­mente” (cc. 1645 §1, 1654 §2), in Inglese (CLSA) “clearly” ( cc. 41, 1645 §§1 e 2), “manifestly” (cc. 749 §3, 1654 §2), “manifest” (cc. 915, 1007), “openly” (c. 831 §1). Dal significato della parola (cf. c. 17), come è intesa dai traduttori del codice nelle diverse lingue, si può capire che la parola “manifestum” caratteriza il peccato come palese, chiaro e definito, senza possibili dubbi. Nello stesso senso l’hanno inteso i principali com­mentatori del codice di 1917 e del 1983.

Il codice orientale esclude i “pubblica­mente indegni” (“publice indigni”) dal ricevere la Divina Euca­ristia (c. 712), termine usato nel codice del 1917 (c. 855 §1 CIC ‘17) e sinonimo del “publicus peccator” (cf. c. 855 §2 CIC ‘17), termine trovato nei canoni 693 § 1, 1066 e 1240 §1 n. 6 dello stesso codice. Di contenuto non differenzia dal codice Latino.

Publicum

Pubblico è un peccato - secondo la definizione dei delitti pubblici del codice pio-benedettino -: “si iam divulgatum est aut talibus con­tigit seu versatur in adiunctis ut pru­denter iudicari possit et debeat facile divulgatum iri” (c. 2197 n. 1 CIC ‘17). Si trova una definizione leg­ger­mente diversa del aggettivo “pubblico” nella parte sui impedi­menti matrimoniali: “pubblico”significa che “possa essere provato in foro esterno; altri­mento è occulto” (c. 1037 CIC ‘17; c. 1074 CIC; c. 791 CCEO), definizione valida anche per i delitti e in genere i peccati pubblici (cf. NAZ, Traité 3, 1948, p. 63: “Le délit doit être public, c’est-à-dire susceptible d’être prouvé”).

Manifestum e publicum

Un “peccatum manifestum” non può essere altro che pubblico - il ministro rifiutando i sacra­menti non dovrebbe ren­dere noto quello che si può sapere solo dal foro interno - ma l’espressione “peccato manifesto” accentua e sottolinea il carattere palese e la richiesta certezza in foro esterno circa l’esistenza del peccato oggettiva­mente grave (HENDRIKS QDE 1992, p. 198; NAZ, Traité 3, 1948, o.c., i.l.: “manifeste, c’est-à-dire certain”; cf. ad es. Chr. BERUTTI, pp. 192-193), ma non implica - come alcuni autori hanno pensato - un’ampia divulgazione di fatto della condizione peccaminosa (cf. COCCHI, lib. III, pars. II-III, p. 129: “Agitur de iis qui ut peccatores a multis cogniti sunt...”).

Conseguenze canoniche

Le conseguenze canoniche enumerate nei canoni 915 e 1007 del codice Latino non si verificano nel caso di un peccato solo benchè pubblico e manifesto; i canoni richiedono inoltre l’ostinata perseveranza, cioè uno stato di peccato, perché qualcuno possa essere riconosciuto pubblico peccatore o pubblica­mente indegno (cf. HENDRIKS, QDE 1992, p. 202; F. CAPPELLO, vol II, 1962, p.535); il caso però del esclusione dalle esequie ecclesiastiche prevista nel c. 1184 §1 n. 3 riguarda anche il peccatore manifesto chi muore nello stesso atto grave­mente peccaminosa (ad es. Il furto, l’eutanasia), senza segno di penti­mento (cf. CLAEYS BOUUAERT- SIMENON, vol. 3, p. 45), ma qui è lasciato spazio alla valutazione del caso concreto (il possibile segno di penti­mento, l’esistenza o meno di scandalo pubblico...), senz’altro perchè qui non si tratta della partecipazione ai sacra­menti, che richiede per diritto divino il distacco dal peccato grave (cf. PONT. CONS. PER I TESTI LEGISLATIVI, Dichiarazione 2000, n. 1) .

In dubio

Nel caso di dubbio circa l’esistenza dello stato di peccato ma­te­ri­almente grave ed il carattere manifesto di esso, le proibizioni previste dalla legge canonica non vengono imposte (cc. 18. 213. 843 §1 CIC; 1500. 16. 381 §2 CCEO), ma della cessazione di una situazione peccaminosa pubblica e della correzione del peccatore deve constare al foro esterno (855 §1 CIC’17; cf. JOMBART, col. 1287).

Peccatum manifestum e colpa soggettiva

Alcuni autori hanno ritenuto necessario un giudizio sulla colpa soggettiva o una previa ammonizione. I canoni non sarebbero da applicare nel caso di un dubbio circa la colpa soggettiva della persona interessata (cf. ad es. EICHMANN, p. 49; R. ALTHAUS, MK, c. 915 n. 4; discussione nella rivista The Jurist nelle annate 55(1995) e 57(1997), J. HUELS, New Commentary... 2000, c. 915; COCCHI, lib. III, pars. II-III, p. 129: “Agitur de iis qui ...excusari nequeunt...”). Ha ris­posta a queste obiezioni la Pontificio Consilio per i Testi Legislativi in una Dichiarazione di 2000 (vedi spec. p. 159; cf ARRIETA). Si tratta in tutti questi casi di un giudizio in foro esterno: il ministro della comunione, il sacerdote chiamato a conferire il sacra­mento degli infermi, il parroco responsabile per la concessione delle esequie ecclesiastiche deve deci­dere in foro esterno che qualcuno possa o non possa essere ammesso. Non dà nessun giudizio in foro interno, ma lascia la colpa soggettiva fuori consi­derazione. Il peccato pubblico e manifesto, inteso nel canone, è allora un peccato ma­te­ri­almente grave, cioè un’azione oggettiva­mente male e grave, “intrinsece malum”, qualunque siano state le circonstanze del peccato o l’intenzione del autore, poichè non si potrebbe definire qualcosa un impedi­mento per ricevere i sacra­menti o per conce­dere le esequie ecclesiastiche qualora il peccato non sarebbe manifesto, cioè non constasse con certezza (cf c. 18).

Fedeli divorziati vivendo in matrimonio civile

Qualche volta una situazione o modo di vita si manifesta come peccaminosa, mentre in realtà non è tale. Ciò capita quando fedeli divorziati vivendo in un matrimonio civile hanno assunto l’impegno di vivere in piena continenza (cf. Familia­ris consortio, 84; CDF, 1994). “Poiché il fatto che tali fedeli non vivono more uxorio è di per se occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno acce­dere alla Comunione euca­ristica solo remoto scandalo” (PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Dichiarazione, 24 giugno 2000, in: Communicationes 32(2000), pp. 159-162, qui p. 161). Un altro esempio si trova nel decreto Quaesitum est (1 luglio 1949) dell’allora Sant’Uffizio (AAS 41(1949), p. 334) riguardante i fedeli che erano membri del partito comunista e che pote­vano essere ammessi ai sacra­menti quando lo loro iscrizione era fatta senza convinzione ma per evitare un male proporzional­mente grave (cf. PALAZZINI, Vol. I, p. 797).

Ed altri?

Quali sono i peccati manifesti che mettono nella condizione di non poter essere ammesso ai sacra­menti? Il papa Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Familia­ris consortio scrive a proposito dei “...cattolici che per ragioni di diversa visione di vita o per ragioni pratiche danno la preferenza al matrimonio civile e rifiutano quello religioso o per lo meno lo dilazionano...”: “I pastori della Chiesa non possono purtroppo ammeterli ai sacra­menti” (n. 82). La stessa esortazione ribadisce la prassi “fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione euca­ristica i divorziati sposati”(n. 84; cf. PONT. CONS. TESTI LEGISLATIVI, Dichiarazione 2000, n. 1). Manifesto è il peccato anche di coloro che si tro­vano abitual­mente in uno stato di concubinato, in una relazione omosessuale o in un altra relazione sessuale (Litt. Ap. Iusti Iudicis,1988, art. 6, §2, p. 67, Familia­ris consortio, n. 80-81; CDF, Lettera, 1994, n. 6; cf. CDF, Persona Humana, 1975, pp. 85 e 89). Si tro­vano inoltre in peccato grave e manifesto membri iscritti “libera­mente e cosciente­mente” alla massoneria o al partito comunista (CDF, Quaesitum est, 1983, p. 300; CDF, Notificatio, 1974, col. 6835; SANT’UFFIZIO, Quaesitum est, 1949, p. 334). Peccato manifesto sarebbe anche la difesa pubblica e continuata di dottrine chiara­mente opposte alla fede divina e cattolica o alla legge divina, oppure l’esercizio abituale di peccati gravi e manifesti, come l’aborto provocato o l’eutanasia. Prima del 1925 il Rituale Romanum dava ancora alcuni altri esempi: usurai, stregoni, chi­ro­manti, blasfemi (cf.HENDRIKS, p. 194)

 

BIBLIOGRAFIA

 

P. JOANNES PAULUS II, Exh. Ap. Familia­ris consortio, 22 novembre 1981, in: AAS 73 (1981), pp. 81-191

P. JOANNES PAULUS II, Litt. Ap. Iusti Iudicis, 28 giugno 1988, art. 6, §2, in: Communicationes 20(1988), pp. 65-68

SANT’UFFIZIO, Decretum Quaesitum est, 1 luglio 1949, in: AAS 41(1949), p. 334

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE (CDF) Notificatio, 18 luglio 1974, in: X. OCHOA, Leges Ecclesiae, vol. V, 1973-1978, Roma, 1980, n. 4309, col. 6835

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE (CDF), Dichiarazione. Persona Humana, 29 dic. 1975, in: AAS 68(1975), pp. 77-96

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE (CDF), Dichiarazione Quaesitum est, 26 nov. 1983, in: AAS 76(1984), p. 300

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE (CDF), Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica Sulla comunione dei fedeli divorziati e risposati, 14 settembre 1994, in: AAS 86(1994), pp. 974-979

PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Dichiarazione, 24 giugno 2000, in: Communicationes 32(2000), pp. 159-162

 

J. ARRIETA, “Il profilo sostanziale dell’interpretazione canonica delle norme”in: Ius Ecclesiae 12(2000), pp. 886-892.

Chr. BERUTTI, In­sti­tu­tio­nes iuris canonici, vol. IV, Taurini, Romae, 1940

CLAEYS BOUUAERT- SIMENON, Manuale iuris canonici, vol. 3 (Gandae, Leodii, 1934)

COCCHI, lib. III, pars. II-III

F. CAPPELLO, Summa iuris canonici, vol II (Romae, 1962 [6])

E. EICHMANN, Lehrbuch des Kirchen­rechts, vol. II, Paderborn, 1934[4]

J. HENDRIKS, “Non siano ammessi alla sacra comunione...”, in: Quaderni di Diritto Ecclesiale 5(1992), pp. 192-204

J. HERRANZ, “Los limites del derecho a recibir la comunión”, in: Ius Canonicum 87(2004), pp. 69-86

M. HUFTIER, Péché mor­tel et péché véniel, in: AAVV, Théologie du péché (Bibliothèque de théologie, series II Théologie morale, vol. VII; Tournai, 1960), pp. 363-451, m.n. p. 393

E. JOMBART, Pécheur public, in: R. NAZ (ed.), Dictionnaire de Droit Canonique, vol. 6 (Paris, 1957), col. 1286-1292

NAZ, Traité de droit canonique, vol 3 (Paris, 1948)

P. PALAZZINI, Dictionarium moreale et canonicum, vol. I, Roma, 1962, s.v. “communismus”

9(questo articolo è stato scritto prima dell'Amoris laetitia)

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